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pino

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venerdì 28 giugno 2013

anatomia di un esame /3

In tanti anni di esami ho sperimentato molte strategie che mi permettessero di rendere il colloquio finale... un vero colloquio.
Il “ colloquio” è un “ parlare con”, un parlare insieme: non significa che ti faccio dodici domande e tu mi devi  dare dodici risposte, ma nemmeno puoi pensare che io ascolti un monologo di venti minuti che non interessa a nessuno, meno che mai a te che lo stai recitando!
Sono tante le variabili che entrano in gioco:
  •          prima di tutto è un esame, quindi un momento di forte tensione ed emotività, in cui il ragazzo ha la sensazione di doversi giocare il tutto per tutto: non é la condizione ideale per dare il meglio;
  •        poi c’è la questione del tempo: circa venti minuti possono essere pochissimi oppure eterni;
  •      infine la difficoltà che queste generazioni hanno nel sostenere un discorso formato da frasi di media lunghezza, con un soggetto e un verbo possibilmente concordati tra loro, legate da nessi logici

Tanti anni fa era una vera e propria interrogazione. L’alunno sedeva di fronte a dieci insegnanti che, uno per volta, chiedevano tutti qualcosa. Era difficile assistere a prestazioni soddisfacenti: neanche all’esame di maturità chiedono tutte le materie di tutto l’anno!

Poi c’è stata la “moda” degli argomenti interdisciplinari. Traduco: l’alunno si sedeva di fronte agli stessi dieci insegnanti di prima e si lanciava in uno sproloquio di pura follia che collegava argomenti improbabili! Esempio : “Inizio con storia e parlo della seconda guerra mondiale, poi del Giappone che aveva partecipato così collego geografia, poi dei vulcani perché il Giappone ne ha tanti e ci metto scienze; per italiano racconto “viaggio al centro della terra” che si collega con i vulcani giapponesi (sì lo so , Verne è francese, ma io il libro l’ho letto in italiano, prof!), poi siccome in quel viaggio hanno fatto un sacco di fatica, parlo dei canti di lavoro dei neri e del blues così piazzo musica e dico quali sono i muscoli che muovo per lavorare così mi tolgo ed. fisica, nel frattempo faccio vedere i disegni che ho fatto in arte sul “ritratto” e parlo di Picasso perché tanto anche nei miei disegni non si capisce niente! Quando ho finito, saluto tutti in inglese e me ne vado. Devo aggiungere anche un “My God!”, così ci metto religione?”

Quando finalmente si è capito che il colloquio pluridisciplinare era altro, abbiamo partorito la “tesina”. NOI, cresciuti andando nelle biblioteche di quartiere per copiare a mano dalle enciclopedie le informazioni che ci servivano, rielaborandole personalmente prima di scriverle (non perché eravamo bravi, ma perché sarebbe stato troppo faticoso ricopiare tutto!), abbiamo chiesto a dei ragazzi perennemente “connessi” di fare una ricerca! Tanto valeva aprire direttamente wikipedia…. Abbiamo cercato di mettere dei “paletti”: prepara una presentazione PPT, non scrivere quasi nulla nelle slide, non farti aiutare dalla mamma-papà-quelladelleripetizioni-lacuginapiùgrande-tuofratellochel’hafattal’annoscorso……
Risultato: l’alunno continuava a sedersi di fronte ai dieci insegnanti, apriva la bocca e recitava (senza nemmeno troppa partecipazione) ciò che aveva imparato a memoria. Guai a interromperlo! Di solito, una volta perso il filo del discorso, non lo recuperava più… Di fargli una domanda, neanche a parlarne: lui, quello sapeva. Quando lo sapeva.

Quest’anno mi sono detta: basta! Il rischio è che l’alunno si sieda di fronte a nove insegnanti: io me ne vado via prima!
Nella mia terza ho proposto un esperimento, basandomi su queste riflessioni: 
- tutto quello che volevo accertare dal punto di vista della conoscenza degli argomenti, l’ho già accertato: ho valutato, mettendo dei voti sulla pagella e ci sono già i risultati delle prove scritte; quindi l’alunno ha avuto tutte le possibilità di dimostrare quanto degli argomenti trattati è riuscito ad interiorizzare. Durante l’orale non sono i contenuti l’aspetto principale.
- Il colloquio deve dimostrare che l’alunno è in grado di parlare: il contenuto diventa allora l’occasione per esprimermi in modo corretto, argomentando i miei pensieri, esponendo le mie opinioni, valutando criticamente le mie esperienze. Come posso valutare queste competenze se gli dico prima cosa impararsi a memoria?! 

Evidentemente, l’alunno va guidato: non si può chiedergli di parlare dell’universo mondo! Quindi il       problema è trovare qualcosa di famigliare ma non di preparato prima.

Ecco come ho lavorato.
Fin dall’inizio dell’anno ho spiegato ai ragazzi che tutte le unità di lavoro che avremmo affrontato, una volta terminate, sarebbero state “archiviate” in un raccoglitore, che abbiamo chiamato il “raccoglitore degli esami”. Faccio un esempio: mentre studiavamo gli USA abbiamo seguito la rielezione di Obama e fatto un approfondimento sulle differenze tra le funzioni di Obama e quelle di Napolitano; tutto il “pacchetto” (corredato dai vari lavori sia cartacei che multimediali) è stato ordinato mediante un indice e raccolto in una cartellina nel famoso quaderno per gli esami. Durante tutto l’anno, il raccoglitore è andato via via arricchendosi, fino a comprendere lavori di vario genere e di ambiti diversi. Contemporaneamente, sulla loro chiavetta usb mettevano anche i file realizzati da loro.
Al momento dell’esame orale l’alunno si presentava col suo “bagaglio”; gli si chiedeva ovviamente di cominciare scegliendo un lavoro, ma poi veniva abbastanza naturale l’inserirsi di altri colleghi o la curiosità di fare domande; l’alunno era quasi sempre in grado non solo di illustrare il contenuto,ma di ricostruire le fasi di lavoro, di dare un giudizio in proposito,…e spesso aveva anche la soddisfazione di far vedere quanto aveva lavorato! Nessuno di noi aveva  il timore di chiedere qualcosa e nessuno di loro ha dovuto imparare discorsi a memoria.

Certo, non tutto è andato così bene: era la prima esperienza e ci sono aspetti da sistemare. Ma ho assistito a esami quasi sempre molto dignitosi, spesso molto interessanti e comunque mai noiosi.





anatomia di un esame / 2

Mercoledì 12 giugno: il tema di italiano.

Questa volta racconterò un’esperienza positiva! Finalmente le tracce d’esame proposte erano veramente belle, perché il frutto di un lavoro collaborativo tra le docenti.
Ma andiamo con ordine.

Il problema dei titoli dei temi si ripresentava ogni anno sempre uguale: dovendo essere identiche per tutte le classi, le richieste erano estremamente generiche e fluttuanti, per una duplice errata convinzione:
-       tutti gli allievi avrebbero potuto agganciare almeno una esperienza fatta con la propria classe
-    anche chi non sa mai cosa scrivere, con una richiesta tanto vasta, avrebbe sicuramente trovato un argomento da esporre

Nella mia esperienza ho sempre constatato l’esatto contrario: le richieste che vogliono comprendere tutte le esigenze di tante classi tutte diverse, possono essere solo estremamente vaghe e poco significative. Se un ragazzino non ha un percorso minimamente tracciato, si perde: allora accade che anche i più “bravi”, di fronte al foglio bianco, annaspino e scrivano una serie infinita di banalità, lontane mille miglia dai loro pensieri.
Per tutti e tre gli anni si sentono dire che il tema deve essere sì corretto, ma anche personale, originale, vissuto,…e poi si trovano davanti richieste stereotipate: la guerra è brutta e vorresti la pace nel mondo? Ti dispiace che ci siano persone povere? Ti piacerebbe realizzare i tuoi sogni?
Mi sono chiesta spesso cosa scriverei io…..

Quest’anno, a settembre, un gruppetto di docenti di terza ,ha deciso di scegliere alcuni temi comuni da sviluppare attraverso letture, visioni di film, spettacoli teatrali,….  ciascuno in base alla propria sensibilità , al proprio stile e al livello della propria classe.
Durante l’anno abbiamo anche partecipato a delle iniziative insieme, unendo le classi, passando il materiale a chi non poteva esserci, tenendoci continuamente informate sui tempi (oltre che sui contenuti) spesso davanti al distributore del caffè!

Siamo arrivate alla fine dell’anno potendo proporre terne di temi che affrontavano argomenti sui quali i ragazzi avevano lavorato e si erano confrontati durante l’anno: chi sapeva scrivere, avrebbe potuto dare il meglio e chi di solito arrancava avrebbe avuto almeno la possibilità di capire di cosa si stava parlando!

Risultati: se togliamo le due punte estreme (quelli i cui elaborati vorresti non finissero mai tanto sono belli e quelli i cui elaborati vorresti non essere costretta a leggere…), la grandissima parte dei ragazzi ha scritto delle belle pagine! Siamo state molto soddisfatte perché per la prima volta quella prova d’esame ci è sembrata veramente il coronamento di un percorso e non un inciampo obbligato.

Esperienza idilliaca? Lavoro in una scuola di collaborazione?
No.
Però ho capito che non si può aspettare che tutti vogliano condividere qualcosa: bisogna cominciare.
In questo caso ho girato a mio favore una pessima abitudine molto diffusa : la mancanza di iniziativa e la comodità di lasciarsi trasportare da un lavoro già strutturato da altri.
L’idea è partita da una persona.
Tre si sono date da fare.

Tutte le altre hanno seguito!


anatomia di un esame / 1

Sará che erano tre anni che non avevo una terza. Sará che in quest’ultimo periodo, grazie alle amiche del villaggio, ho riflettuto molto sulla valutazione e ho avuto modo di confrontarmi con esperienze diverse. Sará che non sopporto il caldo.
Ma tutto é cominciato (malissimo) con il voto di ammissione all’esame.

Indicazioni di quest’anno : il voto di ammissione é la media MATEMATICA dei voti di uscita del triennio. Semplice: si prende la media dei voti della prima, quella della seconda e della terza e si fa la media; se il risultato ha un decimale, si arrotonda automaticamente per difetto o per eccesso, stile excel.
Io non ho nulla contro la matematica, che mi ha sempre affascinato (purtroppo in maniera inversamente proporzionale alla mia comprensione...), ma sono un’insegnante , non mi sono  diplomata in ragioneria. Applicando il sistema di cui sopra ecco cos’é successo: Pierino, che in prima ha trovato tutto facile e aveva finito l’anno con la media dell’ 8, ha pensato bene, in seconda di vivere di rendita ed é uscito con 7; in terza non ha piú retto e ha terminato con la media del 6. Voto  di  ammissione  all’ esame:  7.
Paolino, poverino, ha iniziato con un sacco di difficoltà e ha finito la prima con un misero 6; poi, però, si è impegnato moltissimo e ha raggiunto 6,5 in seconda e 7 alla fine della terza. Voto di ammissione all’esame : 6.
In questo modo, ho MISURATO il percorso di due studenti.  Poi arriva il mio mestiere,  la VALUTAZIONE.
Nel mio immaginario occorre tenere conte del percorso e del contesto di ciascun allievo.  Io devo (voglio) valorizzare chi ha posto in essere un atteggiamento di volontà, di fatica e di conseguimento di traguardi, senza mai perdere di vista il punto di partenza. Il modo di essere studente deve essere valutato, non solo la performance. Nel bene e nel male.
Non voglio mettere il discorso sul piano della “giustizia” (non sono un ragioniere, ma nemmeno un giudice): è un problema squisitamente pedagogico. A Pierino, sto dando un messaggio sbagliato: gli sto dicendo “ok, comportati pure così, tanto, in un modo o in un altro, con un po’ di fortuna, otterrai un risultato discreto”.
Non in un modo o in un altro: nel modo giusto, che è fatto di metodo, di rapporto con l’adulto, di conoscenza di te stesso, di fatica e di noia, di insuccessi e di soddisfazioni, di consapevolezza degli errori, di prova e riprova finchè non riesci!
Non con un po’ di fortuna: impariamo fin da piccoli cosa significa “merito”, impariamo che la maggior parte della nostra vita dipende dalle nostre scelte!
Non un risultato discreto: il risultato migliore! Certo, il risultato migliore che tu puoi raggiungere. Oggi. Perché magari domani sarà diverso.

BUONI PROPOSITI
L’anno prossimo, classe prima: cominciare da subito a rendere gli alunni più partecipi della valutazione, per arrivare ad una consapevolezza maggiore del proprio percorso scolastico.
Come?
·         discutere con loro le voci che compongono i criteri valutativi del comportamento?
·         fornire e condividere gli obiettivi di ciascuna materia (ridurli? Semplificarli?)?

·         ogni volta che inizio un’unità didattica, stabilire i “cosa”, i “come”, i “quando” e i “perchè” e farvi riferimento spesso, specialmente dopo lavori di verifica, anche per capire perché ho dato quel voto e non un altro?

augurio per il nuovo anno

Mi sono imbattuta casualmente in questo video molto carino e molto.....significativo!
Attualmente  mi trovo a dover prendere alcune decisioni per il nuovo anno scolastico, sia per quanto riguarda la mia futura classe che per l'organizzazione della scuola media e quando ho visto questo corto sono rimasta indecisa : è meglio dedicarlo ai ragazzi o ai colleghi?



mercoledì 19 giugno 2013

ancora sulla valutazione

Sollecitata dal clima del villaggio, ho deciso di tenere una sorta di diario di pensieri sugli esami di stato che sto svolgendo in questi giorni.
Lo scopo non è certo speculativo: desidero fissare alcune riflessioni/sensazioni, che con l'estate sarebbero destinate a sparire. Per poi ripresentarsi identiche la prossima volta...
Non solo.
Cercherò anche di "appuntarmi" alcune possibili soluzioni o, più semplicemente, idee in proposito.
Se qualcuno con idee ed esperienze diverse dalle mie, vuole condividere qualche pensiero, è il benvenuto!

venerdì 14 giugno 2013

Trogloditi digitali

Ho sempre chiamato i  miei alunni “trogloditi digitali”.
Lo facevo sorridendo, come per prenderli in giro e loro hanno sempre accettato lo scherzo, pensando con sufficienza che alla fine ero io quella che magari ogni tanto si “incasinava” con qualche funzione del pc.
Io però, anche se con un po’ di affetto, li ho sempre considerati veramente dei trogloditi digitali.
Io non ho il profilo su fb: però so cos’è, come funziona, cosa significa e all’occorrenza sono stata in grado di operare alcuni interventi.
Io non ho la wii o l’xbox e non so giocare bene come fanno loro ai giochi di ruolo (fossi mai riuscita una volta a portare a termine una missione …): però decido io quando e se e a cosa giocare, non rinuncio alla mia vita e non dipendo da un computer.
Io non ho l’Iphone: ho un nokia che, al massimo, scatta delle pessime foto. Però riesco a parlare con chi mi è seduto vicino senza ricorrere a whatsapp…

Allora dobbiamo intenderci: cosa significa “nativi digitali”?
Per me vuol dire semplicemente che sono nati in un’epoca di aggeggi digitali.
Sollecitati fin da piccolissimi da una sequenza ininterrotta di immagini (non quelle dei libri per bambini, colorate, delicate, da impiastricciare con le mani...) che passano velocemente davanti ai loro occhi senza che vi si possano soffermare, sistemati davanti ai televisori con in grembo telecomandi più grandi delle loro manine, crescono in un video-mondo nel quale non ci si ferma mai.
Io li accolgo che hanno 11 anni: arrivano che sanno messaggiare, chattare, pubblicare foto e filmati…. Ma quando chiedo loro di mandarmi il riassunto via mail in un file di word, dilatano le pupille!
Allora, tornano ad essere dei ragazzi di 11 anni, con la differenza che oggi, per imparare le cose, hanno a disposizione strumenti più veloci, più accattivanti,…ma che devono comunque imparare a gestire usando l’intelligenza.
Qui ho trovato le maggiori difficoltà.
In questi giorni sto facendo gli esami ai ragazzi della mia classe: in tre anni hanno imparato alcune piccole cose di informatica . Una di queste è l’uso di Power point . La difficoltà maggiore  non è stata insegnare gli elementi tecnici, ma il lavoro di progettazione precedente! La prima presentazione ho lasciato che la facessero senza dare troppe indicazioni: ogni gruppo aveva una regione attraversata dal Danubio e avevano l’elenco degli argomenti da approfondire. Abbiamo guardato in classe tutte le presentazioni: del Danubio si vedeva poco o niente, perché le fotografie prese in internet erano ricoperte da milioni di informazioni copiate incollate da wikipedia (peraltro ovviamente illeggibili!); in compenso, per poter leggere il titolo di una slide impiegavamo dieci minuti, perché ogni singola letterina appariva da qualche parte, compiva mille acrobazie e poi si posava al suo posto!

Per concludere, nativi digitali oppure no, i ragazzi sono sempre gli stessi: a scuola vengono volentieri fino a che non ci si deve impegnare sul serio. Forse sarà così anche in futuro.
Quello che un insegnante può/deve fare è insegnare l’uso del pensiero, sia che abbiano davanti una pagina del Manzoni che uno schermo del computer….

P.S.
Un mio carissimo collega di Tecnica mi dice sempre: “Un laureato in filosofia, se necessario, potrà imparare ad aggiustare un tostapane; chi aggiusta solo tostapane, difficilmente prenderà una laurea in filosofia”. La prima volta che me l’ha detto, mi stavo arrabbiando! Poi ho capito…


domenica 9 giugno 2013

VALUTO...QUINDI SONO


Si é accesa un’altra discussione attorno al tema della valutazione, la spina nel fianco di noi insegnanti.
Io credo che la valutazione sia importante. E che lo sia per me  e per lo studente.
A me serve perché io ho bisogno di misurare il cammino fatto fino ad un certo punto: misurando quel cammino riesco a mantenere o modificare la rotta, capisco dove sto andando e dove sto portando il mio studente.  La misurazione é la parte piú semplice e piú arida della valutazione, la piú distaccata perché é rivolta unicamente alla performance.
Anche per l’allievo é importante, anzi é doverosa: aiuta a renderlo consapevole dei suoi punti di forza e di debolezza, perché senza questa consapevolezza non si va da nessuna parte. Certo, non é piacevole dire a un ragazzino “il tuo lavoro non va bene “ “ non é cosí che devi fare” “devi ricominciare da capo”, ma peggio sarebbe non dirglielo! Specialmente in un mondo in cui la figura del genitore sta assumendo l'unica funzione di giustificare sempre e comunque il proprio figlio.  Se peró si abituano i ragazzi a vedere nell'errore un aiuto al diventare piú bravi e non un elemento per demoralizzarsi, si puó cercare di ridimensionare l' idea di dramma e di fallimento che il giudizio porta con sé. La misurazione di un risultato é rivolta esclusivamente al prodotto e non a chi l’ha fatto: “ il tuo lavoro non é fatto bene” e non “ sei stupido”.

Subito prima e subito dopo si innesta la valutazione.
Subito prima perché quando si prepara una qualsiasi “verifica” si cerca di prevedere delle differenze nelle richieste (ed ecco l’altra discussione sull'individualizzazione dell’insegnamento...): ogni ragazzo parte da un livello diverso, ha un'intelligenza diversa e un diverso atteggiamento nei confronti della scuola, della fatica, del lavoro,.... questo significa che io sto giá valutando nel momento in cui immagino un percorso particolare per quella persona particolare.

Alla fine ho di nuovo la valutazione: parto dal “numero” oggettivo della misurazione e lo plasmo, rivestendolo di ció che ho cercato di capire dell’alunno, tenendo conto di come é arrivato a quel risultato.
Questa é la parte piú difficile, perché (non so se giusto o sbagliato, se bello o brutto) ma sará per forza una scelta personale, che potró prendere dopo essermi consultata e consigliata, ma sempre personale resterá, come personale e unico é ogni singolo rapporto con gli studenti.


Situazione rischiosa, perché siamo umani e soggetti a sentimenti, nel bene e nel male, anche se cerchiamo di mantenerci il piú corretti possibile! Ma é la rischiosa bellezza di un “ mestiere” fatto prevalentemente di rapporti umani.



venerdì 7 giugno 2013

Bilancio...seconda parte


Una delle tante cose belle di questo corso é che sono immersa in un mare di insegnanti! Questo mi permette di capire al volo il mondo che c’é dietro ogni commento: gli entusiasmi, le difficoltá, le perplessitá.  Pur non rispondendo direttamente, spesso mi sono sentita vicino a questi colleghi “ sconosciuti” quando raccontavano di come erano riusciti a sperimentare nella loro classe qualcosa imparato qui, oppure quando si guardavano intorno in sala professori e venivano colti da un momento di sconforto! Mi é piaciuto condividere l’ansia di fare tutto, senza saper scegliere a cosa dare la precedenza: faccio prima la relazione finale o provo a taggare i post? 

Ho giá detto in un precedente post quanto mi ha dato questo per-corso e non voglio ripetermi....piuttosto vorrei aggiungere una sensazione nuova che ho provato in questi ultimi giorni: la funzione vaccinazione.
Nell’ultima settimana a scuola é successo di tutto: qualche ragazzino fuori di testa, qualche docente peggio del ragazzino fuori di testa, scrutini tutti i giorni, genitori che sbraitano perché il loro bambino é stato ammesso all’esame con 8 e invece si meritava 9,..... essendo anche vicaria, normalmente  a questo punto dell’anno rientravo a casa stile straccio del pavimento.... ma se voi mi aveste visto in questi giorni! Avevo un pensiero positivo per tutto: il ragazzino ne ha combinata una di troppo? L’anno prossimo si potrebbe intervenire lavorando sul gruppo classe ( e qui mi apparivano alla mente le immagini di tanti blog che ho seguito); il collega non ce la fa piú? A settembre bisognerá farlo sentire parte di una comunitá collaborativa di docenti (e vai di altri blog nella mente!); i risultati non sono quelli attesi? Utilizzeró qualche strategia anche tecnologica che ho imparato qui....

Cosí sono riuscita a non ammalarmi di quella strana depressione che a volte mi prende quando mi sembra di avere tutto sulle spalle, di non riuscire a risolvere nulla e di essere tanto stanca! Questa volta provo una stanchezza diversa, quella che da giovane sperimentavo dopo aver camminato per ore in montagna e aver raggiunto una cima.

sabato 1 giugno 2013

DOPPIO MISTO

Sarà il periodo di fine anno, saranno gli interventi che ho letto, sarà che ci si è messo anche il sindaco di New York…. ma la riflessione sul “bravo insegnante” continua a frullarmi per la testa. Mentre cercavo di mettere un po’ di ordine nei pensieri (perché volevo scrivere delle risposte) mi sono scontrata più volte con questo pensiero: chi sono i “bravi discenti”?

Durante questo per-corso, spessissimo sognavo di trovare il modo per applicare la metodologia che mi sono trovata a sperimentare con voi nella scuola, la mia scuola, con i miei ragazzi. Un’idea alla quale non ho ancora rinunciato, sia chiaro; ma più approfondivo la strategia del Prof. Andreas (ecco un “bravo insegnante”!) più mi venivano alla mente le facce di alcuni alunni…. Il Bravo Insegnante non basta: è necessario, ma non sufficiente, fosse anche il più bravo della terra! Se vado a rileggere i commenti di tutti i miei compagni di per-corso, soprattutto se guardo gli orari in cui sono stati scritti, mi accorgo che chi è arrivato fin qui l’ha fortemente voluto. Non sto parlando delle conoscenze acquisite, ma dell’esserci, della partecipazione al lavoro, del seguire ciò che viene fatto da altri se in un momento specifico non si riesce a stare al passo, ma anche del recuperare di corsa il terreno perduto, lavorando nei ritagli di tempo (notti comprese), togliendo quel tempo ad altro (per scelta e non per costrizione).

Se da questa grande classe virtuale sposto lo sguardo su quella terza media che tra un mese non vedrò più e con la quale ho lavorato per tre anni, devo ammettere che, seppure molto più modestamente, i meccanismi sono simili: 27 alunni, ma molti di meno quelli che lungo la strada hanno voluto imparare come porsi nei confronti del sapere, hanno avuto il coraggio di buttarsi nel lavoro, di accettare il rischio dell’errore (e non solo il rischio…), di impiegare un po’ più di tempo per fare un compito….

Forse a quell’età i ragazzi dotati di volontà, coraggio, capacità di giudizio sono troppo pochi per porsi un obiettivo così alto? O magari è proprio mirando così in alto che si riuscirà a far emergere quel “merito” di cui oggi si parla tanto? Cosa farebbe in questi casi il Bravo Insegnante?


Avrei voluto scrivere delle risposte…e come al solito ho generato domande!